Architettura

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Sin dalle prime riflessioni attorno a una costituenda università federale, promosse nel Canton Ticino da Stefano Franscini e Carlo Cattaneo negli anni 40 dell’Ottocento, una scuola di architettura veniva indicata quale possibile sbocco concreto. L’apertura del Liceo cantonale di Lugano (novembre 1852, con un indirizzo filosofico e uno più tecnico denominato “architettura”), unita alla successiva creazione del Politecnico di Zurigo nel 1855 a cui aveva lavorato lo stesso Franscini, congelarono di fatto l’ipotesi di portare in Ticino studi universitari nell’ambito dell’architettura. La questione si ripropose soltanto nel 1923, con la proposta di trasferire a sud delle Alpi la facoltà di architettura del Politecnico, avanzata da Brenno Bertoni dando seguito a un suggerimento apparso sulla «Neue Zürcher Zeitung» (pure in quel caso non si giunse però a nulla di concreto). Sebbene la scuola per capomastri di Trevano, diventata nel 1950 Scuola Tecnica Superiore, rilasciasse sin dal 1963 diplomi d’architetto riconosciuti dalla Confederazione, la fiorente tradizione architettonica locale non aveva cessato comunque di sognare una formazione di tipo universitario. Tra i cinque membri del comitato di sostegno del CUSI (1986) figuravano infatti, non a caso, due architetti come Mario Botta e Luigi Snozzi, e non pochi degli interpellati da «Libera Stampa» nel maggio del 1990 indicavano in architettura quasi una scelta obbligata. Anche durante le successive consultazioni del Delegato ai problemi universitari Pier Giorgio Gerosa (architetto e docente all’Università di Strasburgo), architettura era una delle 3-4 ipotetiche facoltà, nonché l’unica che avrebbe potuto sussistere in solitaria perché «attrattiva in ambito nazionale e internazionale». Gerosa la immaginava però ancora, sulla scia di Bertoni, quale «emanazione di una realtà sovracantonale».

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  • Il progetto di Mario Botta per i Politecnici federali (1992)

    Il 18 settembre 1991 il presidente del Consiglio delle Scuole politecniche federali Roland Crottaz, rispondendo a uno stimolo del consigliere federale Flavio Cotti (capo del Dipartimento federale dell’interno), diede mandato all’architetto Mario Botta di studiare un progetto per una sede ticinese legata ai Dipartimenti di architettura dei Politecnici di Zurigo e Losanna, che dovevano essere sgravati da un numero di studenti in rapida crescita. Lo studio, intitolato Progetto preliminare per la creazione di una Scuola di architettura in Ticino, proponeva un curriculum di studi di cinque anni più due anni di pratica, come volevano i modelli europei allora in vigore (non così in Svizzera), ma andava oltre le richieste dei committenti e proponeva un’accademia di architettura, con biblioteca e archivio del moderno, del tutto autonoma dalla governance amministrativa e accademica dei Politecnici, incentrata come era sul sapere umanistico e sulla centralità del progetto. La sede ideale era indicata in Lugano, possibilmente nello stabile dell’ex Ospedale comunale (rinominato proprio in quegli anni “Centrocivico”). Il progetto di Botta fu presentato al Consiglio dei Politecnici nel febbraio del 1992 ma incontrò subito alcune resistenze, date dalla presenza di esami di ammissione, da tasse di iscrizione molto alte (5’000-7’000 CHF a semestre, volute da Botta per contenere il rischio di un eccessivo afflusso di studenti italiani, anch’essi confrontati a facoltà di architettura sovraffollate) e soprattutto dalle richieste di autunomia gestionale della futura Accademia. Le Scuole politecniche non ritennero di assecondare un progetto così estraneo alle proprie norme e alla prassi storicamente consolidata delle università cantonali, e nei primi mesi del 1993 rinunciarono ufficialmente alla proposta. Vi era forse però anche una ragione politica: le sopravvenute difficoltà per la facoltà di architettura dell’Università di Ginevra, da poco creata e poi chiusa (di fatto associata al Politecnico di Losanna), contribuirono a rendere prudente la Confederazione, che proprio in quei mesi (marzo-aprile 1993) vedeva il passaggio del consigliere federale ticinese Flavio Cotti dal Dipartimento dell’interno alla direzione del Dipartimento degli affari esteri. Questa reticenza verso il progetto di Botta convinse il Cantone Ticino a prendere l’iniziativa, senza attendere che giungesse da Berna la soluzione al suo “problema” universitario.

  • Accademia Ticino Architettura (1993)

    I primi contatti tra Mario Botta e Giuseppe Buffi risalgono al 1992-93, quando il Dipartimento cantonale era ancora alle prese con gli studi di fattibilità di Pier Giorgio Gerosa, che oltre ad immaginare un’università di base con quattro facoltà (economia, lettere, architettura e diritto) dava per necessario un accordo preliminare con gli altri cantoni universitari e non nascondeva le sue resistenze nei confronti di Botta (furono di fatto le ragioni del suo prematuro allontanamento). Altre personalità della cultura architettonica ticinese, tra cui soprattutto Tita Carloni, si spesero invece pubblicamente e privatamente in quei mesi in favore di Botta e contribuirono a convincere Buffi che quella era la strada. La notizia dell’interesse cantonale fu resa pubblica il 28 maggio 1993 in occasione della presentazione del volume Una vera università nella Svizzera italiana alla Biblioteca cantonale di Lugano, durante la quale Buffi e Botta intervennero assieme e accennarono a grandi linee al progetto di «accademia» (termine al quale l’ideatore teneva molto, anche perché era in contrapposizione con l’impostazione tecnico-ingegneristica delle Scuole politecniche federali). Botta tornò a lavorare al progetto su mandato del Consiglio di Stato del mese di luglio e il 13 ottobre fu annunciato in conferenza stampa che il Cantone optava ufficialmente per esso (in opposizione ai progetti del delegato Gerosa). Dello stesso giorno è pure una lettera del governo cantonale alla consigliera federale Ruth Dreifuss, nel frattempo subentrata a Flavio Cotti quale responsabile del dipartimento da cui dipendevano le università.

    > dettagli del progetto. Il dossier Accademia Ticino Architettura fu reso noto alla stampa il 23 novembre: punto forte della visione di Botta, che adattava senza snaturarlo lo studio preliminare presentato ai Politecnici, era una rinnovata centralità del sapere umanistico, il solo in grado di «riequilibrare il peso delle componenti tecniche e ristabilire una nuova prospettiva alla progettazione». Alla disciplina dell’architettura si voleva riconoscere «un valore etico» che superasse «le risposte tecniche». Il piano di studi, che integrava sensibilità recenti come quella per l’impatto ecologico ed energetico, fu delineato tenendo conto delle direttive europee del Comitato Consultivo per la formazione nel campo dell’architettura (23 marzo 1987 e 6 ottobre 1992) e si articolava in un biennio di base, chiuso da un esame selettivo e seguito da un quadriennio di specializzazione (7 semestri di studio e 1 per il diploma). Ai tre dipartimenti di Storia, Progettazione e Tecnologia si affiancavano una biblioteca, un archivio e un centro di documentazione e comunicazione. Gli scenari per la sede del campus, assai più dettagliati di quelli pensati in precedenza per i Politecnici, approfondivano varianti sia a Lugano (il Centrocivico, l’edificio ex Riziero Rezzonico, l’ex Macello pubblico e altri terreni lungo il Cassarate) sia a Mendrisio (Palazzo Turconi e Villa Argentina). La predilezione per Mendrisio, sostenuta con vigore da Botta già in questa fase, si appuntava sul potenziale di sviluppo del comparto attorno all’Ospedale Beata Vergine (Palazzo Turconi) e sulla vicinanza con l’Italia (Como e Varese). Si ipotizzava di poter iniziare i corsi, al termine dell’iter legislativo, nell’ottobre del 1995, provvisoriamente nella sede di Lugano che sarebbe stata pronta prima di quella di Mendrisio, ma il dilungarsi del dibattito parlamentare – rallentato anche dalle elezioni dell’aprile 1995 − costrinse i promotori a posticipare di un anno l’inizio effettivo del primo anno accademico.

    > docenti e costi. Nell’estate-autunno del 1993, quando ancora non era chiaro quale sarebbe stato l’apporto della Città di Lugano al progetto universitario, si ipotizzavano per l’Accademia da 2 a 10 professori stabili (al termine del primo ciclo sessennale), da 2 a 11 professori incaricati e fino a 60 assistenti. I costi di gestione prevedevano di coprire il primo triennio con un credito quadro iniziale di 16.5 milioni di franchi, e da lì in poi, giunti a regime, un costo di circa 16.5 milioni all’anno (all’epoca il budget cantonale di un grande liceo come quello di Lugano 1). Nei primi mesi del 1994 i preventivi sui costi correnti vennero ritoccati leggermente al ribasso, mentre quelli sugli investimenti vennero positivamente stravolti dall’entrata in campo del Comune di Mendrisio, che favorì la trasformazione del Palazzo Turconi e di Villa Argentina nelle prime sedi del campus universitario.

  • L'Accademia di architettura dell'USI (1996)

    L’Accademia di Mendrisio fu di fatto la prima e unica facoltà propria dell’USI fino a tutto il 2002, quando fu ufficializzata l’integrazione amministrativa delle facoltà luganesi (prima di allora accademicamente affiliate ma indipendenti nella gestione finanziaria e del personale). Sin dal 1993 era sempre stato chiaro, nelle intenzioni di Buffi e del dipartimento da lui diretto, che l’Accademia sarebbe stata la «locomotiva» della futura università, il primo passo di uno sviluppo plurale concepito per fasi. La disponibilità del Comune di Mendrisio non soltanto ebbe un peso decisivo nel sciogliere gli ultimi dubbi sulle questioni logistiche, che furono risolte in tempi record nel biennio 1995-96, ma contribuì anche al delinearsi di quella università multisito, diffusa su tutto il territorio cantonale, che sarebbe rimasta nel DNA dell’USI fino ai giorni nostri. Istituita assieme all’ente autonomo USI il 3 ottobre 1995, l’Accademia avrebbe sfruttato al massimo − come ipotizzato da Botta e tradotto in pratica dal primo segretario generale Mauro Dell’Ambrogio – strumenti amministrativi e legali di tipo privatistico, secondo la dottrina allora in auge del new public management, come la possibilità di selezione degli studenti stranieri (in caso di sovrannumero), tasse elevate e agili rapporti di lavoro che potessero tutelare in ogni modo l’istituzione.

    > avvio dei lavori. Il Consiglio di Stato nominò il primo Consiglio scientifico dell’Accademia nel novembre del 1995, chiamando a farne parte (assieme a Mario Botta) Juan Navarro Baldweg, William Curtis, Pierluigi Nicolin, Werner Oechslin e Roland Schweitzer. Il primo direttore, proposto dal Consiglio scientifico e ratificato dal Consiglio costituente il 16 marzo 1996 nella sua prima seduta, fu Aurelio Galfetti, che sarebbe rimasto in carica fino al 1 ottobre 2001, per poi passare il testimone a Kurt Foster; se il prestigio e la fortuna dell’Accademia sono indissolubilmente legati al nome di Mario Botta, come auspicavano gli ideatori del progetto, Aurelio Galfetti fu per molti anni l’anima organizzativa e didattica dell’istituzione. Il primo anno accademico si inaugurò il 21 ottobre 1996, in contemporanea con l’inizio dei corsi nelle due facoltà di Lugano. L’organizzazione dell’Accademia rispecchiava in toto la struttura tripartita immaginata da Botta sin dal 1993: un Dipartimento di Progettazione (responsabile della ricerca lo stesso Botta), uno di Storia e Cultura (responsabile della ricerca Carlo Bertelli) e uno di Scienza e Tecnica (responsabile della ricerca Aurelio Muttoni). A Letizia Tedeschi fu affidata la gestione dell’Archivio del Moderno e a Fabio Minazzi (dal 1999) quella del Centro di documentazione, mentre Aurelio Galfetti fungeva ad interim anche da responsabile della nuova biblioteca. Il primo anno accademico, a cui risultarono iscritti 100 studenti provenienti da Ticino (30), Svizzera (29), Italia (28) e altri Paesi (13), costò nel complesso circa quattro di milioni di franchi. Tra le personalità invitate a Mendrisio nei primi anni di vita dell’Accademia, che contribuirono a garantirne da subito il prestigio internazionale, si possono ricordare − oltre ai membri del Consiglio scientifico − i nomi di Peter Zumthor, Massimo Cacciari e Albert Jacquard.